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lunedì 24 febbraio 2014

Libertà per gli Stati membri dell'UE di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio

La norma è sicuramente auspicabile, ma prima di applicarla è necessario introdurre una ulteriore norma che preveda l’etichettatura dei derivati ottenuti dall’allevamento di animali nutriti con mangimi OGM (carne, latte, uova, ecc.), altrimenti è una legge destinata a cadere dopo pochi anni, a causa delle previste lamentele degli agricoltori dei Paesi dove è vietato coltivare OGM, che si vedrebbero sommersi da “mangimi OGM” provenienti da altri Paesi UE che ne hanno consentito la coltivazione.


L’emanazione di questa norma, ovvero dare la possibilità agli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio

nasce soprattutto dalle seguenti considerazioni;


1.                  è necessario rispettare i divieti imposti dagli Stati membri e dalle regioni appartenenti alle reti "senza OGM", in quanto queste ultime, in un contesto di mercato trasparente per il consumatore, non devono essere esposte ad un vuoto giuridico;


2.                  numerosi enti regionali e locali si sono dichiarati contrari alle colture geneticamente modificate sul proprio territorio, proclamandosi "zone senza OGM" e costituendosi in rete;


3.                  le misure che saranno introdotte non devono ostacolare l'immissione in commercio e l'importazione di OGM e devono essere conformi ai Trattati e coerenti con gli obblighi internazionali dell'UE, in particolare con quelli a livello dell'Organizzazione mondiale del commercio;




Si  evidenziano comunque le seguenti problematiche, che si considerano preliminari alla modifica della direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio. In particolare:


1.      Si ritiene insufficiente l'attuale sistema di etichettatura dei prodotti derivati dall'utilizzazione di OGM, soprattutto per quanto attiene ai prodotti dell'allevamento animale. In particolare, la gran parte dei prodotti delle attuali coltivazioni OGM sono destinati all'allevamento animale, per cui si trasformano in alimenti destinati al consumo per l'uomo solo successivamente alla trasformazione (ad esempio carne, latte, uova) e, pertanto, stante l'attuale normativa, riescono a sottrarsi all'etichettatura. In tale situazione viene meno la possibilità di scelta del fruitore del prodotto finale, il quale, anche se contrario, consuma inconsapevolmente OGM attraverso l'acquisto e/o il consumo dei prodotti ottenuti dalla loro trasformazione;

 

2.      nei paesi in cui esistono prodotti la cui tipicità o origine protetta è motivo di vanto nazionale, e di valore aggiunto, l'identificazione chiara dei prodotti derivati da mangimi OGM e non OGM porterebbe alla creazione di due distinti mercati dei derivati, con possibili vantaggi economici per coloro che non utilizzano OGM;

 

4.      nel caso in cui non ci sia etichettatura dei derivati, con ogni probabilità gli animali saranno nutriti massicciamente con mangimi OGM (hanno un costo leggermente inferiore), per cui si determineranno situazioni economiche decisamente diverse per gli Stati che opteranno per la loro coltivazione e per quelli che, invece, decideranno di non coltivarli. In particolare, il costo di produzione dei prodotti dell'allevamento (carne, latte, uova, ecc.) sarà presumibilmente inferiore per quelle realtà, e per quegli Stati,  che decideranno di optare per il transgenico, per cui essi saranno sicuramente più competitivi sul mercato rispetto agli Stati che avranno optato per la non coltivazione degli OGM.

 

5.      questa situazione determinerà una sorta di concorrenza sleale per lo stesso prodotto (carne, uova, latte, formaggi, ecc.) tra gli Stati che opteranno per il transgenico e per quelli che, invece, decideranno di non coltivarli;

 

6.      E’ forse inutile far presente che in una situazione di questo tipo ben presto, dopo pochi anni, anche gli agricoltori che non volevano utilizzare gli OGM saranno costretti dal mercato a farlo, poiché opereranno in un mercato in cui c’è asimmetria informativa ed esiste un unico prezzo tra “Derivati OGM” e “Derivati non OGM”;


In conclusione, prima di introdurre questa norma è necessario creare un mercato trasparente in merito a ciò che è OGM e ciò che è "derivato da OGM", al fine di consentire al consumatore una scelta trasparente e al fine di non creare una concorrenza basata su cattive informazioni di mercato per gli agricoltori che gli OGM non li vogliono utilizzare.

OGM e agricoltore

Al piccolo agricoltore italiano, che ha aziende agricole dell'ordine di 6-7 ettari, nel lungo periodo le coltivazioni OGM non convengono, poichè coltivare OGM significherebbe:

- mettersi in concorrenza con agricolture molto più agguerrite della nostra da un punto di vista dei costi di produzione (agricolture che utilizzano antiparassitari che da noi sono vietati, che sfruttano il lavoro minorile, che non hanno la legge nitrati, che non hanno la 626, ecc.);
- per l'agricoltore abbassare i costi non necessariamente significherebbe guadagnare di più. Sarebbe vero solo se l'agricoltore decidesse autonomamente il prezzo di vendita del mais o della soia. Purtroppo questo non accade, in quanto il prezzo di vendita delle derrate agricole è quasi sempre stabilito dal mercato (su tutti i testi di economia c'è scritto che l'agricoltore "subisce il prezzo di mercato") e sul mercato quando si abbassano i costi di produzione, dopo pochi anni si abbassano, inevitabilmente, anche i prezzi;
- l'agricoltore non guadagnerà di più a causa delle strategie di "sostituzionismo" e di "appropriazionismo" messe in atto dall'industria proprietaria del seme;
- c'è poi il problema della delocalizzazione produttiva;
- c'è poi il problema dei vincoli che possono essere introdotti dal brevetto sulle piante e sugli animali...............




Come per le altre innovazioni tecnologiche, tra le motivazioni che potrebbero spingere l'agricoltore italiano ad adottare Organismi Geneticamente Modificati (OGM, che sarebbe meglio chiamare Organismi Transgenici – OT), si ricordano soprattutto la possibilità di ottenere un reddito superiore, in relazione ai seguenti elementi:
1)    alla possibilità di ottenere maggiori produzioni, associate o meno ad una contrazione dei costi di coltivazione;
2)    alla diminuzione dei rischi connessi al collocamento sul mercato della merce prodotta;
3)    alla diminuzione dei rischi tecnici relativi all'ottenimento della produzione.
         Solo se saranno in grado di rispondere ad almeno una di queste esigenze le colture transgeniche potranno essere adottate dall'agricoltore italiano, con indubbi vantaggi sia per il settore agricolo, che vedrebbe incrementate le sue possibilità produttive e reddituali, sia per l'intera Società, in relazione alle esternalità positive che essa continuerebbe a ricevere gratuitamente dal settore agricolo (presidio e manutenzione del territorio, conservazione del paesaggio, tutela della flora e della fauna, conservazione della biodiversità, creazione di spazi ad uso ricreazionale, conservazione degli aspetti culturali tradizionali del territorio rurale, mitigazione degli effetti ambientali negativi prodotti da altre attività produttive o di consumo, ecc.) .


1. – Effetti su produzioni e costi

 I sostenitori degli OT affermano che l'agricoltore nazionale dovrebbe adottare piante transgeniche, poiché esse sarebbero in grado di produrre di più a minori costi.
In primo luogo occorre rilevare che sembra non sia vero che le attuali piante OGM producano di più di quelle convenzionali per unità di superficie. Al contrario,  specifiche ricerche avrebbero verificato una produzione sostanzialmente analoga e, addirittura, per talune coltivazioni (soprattutto soia) una produzione per ettaro leggermente inferiore. 
         Per quanto attiene alla riduzione dei costi, occorre rilevare che le coltivazioni transgeniche di prima generazione, così come sono state concepite, saranno anche in grado di abbassare i costi di produzione, ma non saranno in grado di garantire un maggior reddito al produttore. E' risaputo, infatti, che in agricoltura ad una contrazione dei costi di produzione corrisponde nel lungo periodo una diminuzione dei prezzi di mercato dei prodotti offerti. Da un lato l'agricoltore non ha alcuna facoltà di controllo del prezzo dei suoi prodotti, e dall'altro il progresso tecnico determina una riduzione dei costi unitari di produzione. Così, anno dopo anno, nuove tecnologie vengono introdotte, abbassando i costi di produzione ed espellendo dal settore produttivo le aziende che non sono in grado di reggere la concorrenza. A causa di ciò, e della concorrenza che si viene a creare sul mercato, i prezzi dei prodotti agricoli seguono i costi di produzione nella loro diminuzione, cosicché viene meno il profitto che poteva essere atteso; talvolta, anzi, per la lenta trasferibilità di taluni fattori produttivi impiegati dall'agricoltore (ricollocazione per esempio del lavoro e/o dei capitali investiti in precedenza), la discesa dei prezzi può continuare al di sotto del livello capace di assicurare la precedente remunerazione agli stessi fattori. 
Realisticamente, può accadere che ad una riduzione dei costi corrisponda, nel lungo periodo, un'analoga diminuzione del prezzo di vendita, ristabilendo così la situazione di partenza dei margini per il produttore. A questo proposito occorre rilevare che, anche nel caso in cui per il produttore il margine per unità di prodotto venduto rimanesse costante, inserendo nel riparto colturale processi produttivi in grado di abbassare i prezzi di vendita dei prodotti agricoli, egli favorisce, quasi inconsapevolmente, una diminuzione del suo reddito reale, in quanto i prezzi dei prodotti non agricoli rimangono, nella migliore delle ipotesi, costanti. Addirittura, per la legge di Engel, vi è la possibilità che, in relazione ad un aumento del reddito reale del consumatore favorito dalla diminuzione del prezzo dei prodotti agricolo-alimentari, si verifichi un aumento della domanda di beni non agricoli, con conseguente aumento del loro prezzo e conseguente ulteriore diminuzione del reddito reale dell'agricoltore.
L'agricoltore nazionale potrebbe ottenere un incremento del suo Reddito Netto anche attraverso l'adozione di un processo produttivo che consenta o una maggior utilizzazione dei fattori della produzione di cui dispone in abbondanza (manodopera, terra, ecc.) o, al contrario, una minor utilizzazione dei fattori della produzione che è costretto ad acquistare sul mercato. Anche in questo caso le coltivazioni transgeniche di prima generazione si comportano in modo contrario, poiché sono sostanzialmente disattivanti nei confronti di taluni fattori della produzione apportati direttamente dall'imprenditore e richiedono, nello stesso tempo, un maggior apporto di fattori esterni che egli è costretto ad acquistare sul mercato. Esse, infatti, in relazione all'automazione del processo produttivo agricolo che mettono in atto, richiedono, in genere, una minor quantità di manodopera, che è sostituita dalla tecnologia di origine industriale. Cambiano a seconda delle tecnologie utilizzate anche i rapporti di scambio tra settore primario e resto dell'economia, accelerando o attenuando i rapporti di subordinazione dell'agricoltura. In generale, lo sviluppo di un progresso tecnico labour-saving tende a redistribuire l'incremento del reddito conseguito con l'aumento della produttività del lavoro, in favore dei detentori del capitale fisso di esercizio. Rispetto ai rapporti di scambio con il settore industriale l'adozione di queste innovazioni rende dipendente e subordinata l'agricoltura non solo per la necessità di ottenere i mezzi tecnici indispensabili per l'attivazione del processo produttivo, ma anche per il fatto che l'industria manifatturiera commercializza i propri beni in condizioni di oligopolio realizzando dei "superprofitti" a spese del settore primario. In particolare, soprattutto per le coltivazioni erbacee annuali, la semente OGM potrebbe rappresentare il primo passo per consentire la completa automazione del processo produttivo agricolo (piante autosufficienti, resistenti a tutti i tipi di malattie, che crescono ovunque), un processo produttivo che sarà controllato dai satelliti ("precision farming"), che non avrà più bisogno dell'agricoltore o, per lo meno, ne avrà bisogno in modo decisamente limitato. E' in questo contesto, ovvero in un contesto in cui il reddito da capitale prevarrà sul reddito fornito dagli altri fattori produttivi (terra e lavoro), che si creano i presupposti per il passaggio del controllo del territorio rurale dall'agricoltore, che non riesce più a ricavare un reddito adeguato dalla sua attività, poiché i fattori della produzione di cui dispone non sono più necessari e quindi non sono più remunerati, ad individui estranei all'attività agricola, che con i propri capitali, o con i capitali di terzi, saranno in grado di subentrare non soltanto nella coltivazione ma anche nella proprietà delle aziende agricole.
Anche nel caso di aumento della produttività di queste piante, ed in presenza di prezzo stabile dei prodotti offerti, l'agricoltore non otterrà rilevanti benefici dall'adozione degli attuali OT. Infatti, queste produzioni sono brevettate, per cui il costitutore, con ogni probabilità, sarà portato a spingere il prezzo di vendita della semente ad un livello prossimo al maggior margine che essa sarà in grado di determinare al produttore agricolo, con annullamento dei potenziali vantaggi economici per il settore primario (per fare un esempio, estremizzando, se la semente OGM determina per il produttore agricolo un vantaggio di 100 euro per ettaro, il detentore del brevetto potrà pretendere un maggior prezzo della semente fino a 100 euro per ettaro).
Secondo i sostenitori degli OT l'aumento del reddito dell'agricoltore potrebbe derivare anche da una differenziazione della produzione verso produzioni caratterizzate da un maggior valore aggiunto (alimenti con più proteine, più vitamine, meno calorie, partenocarpia, meno residui di antiparassitari, ecc.). Da un punto di vista mercantile possiamo affermare di trovarci di fronte ad un altro prodotto, completamente diverso da quello originale, con un proprio segmento di mercato e, quindi, con una propria clientela che predilige quel prodotto del quale apprezza le caratteristiche intrinseche. Tale clientela potrà essere disposta a pagare di più pur di avere quel prodotto e, pertanto, vi potranno essere maggiori opportunità di guadagno per l'imprenditore agricolo. Queste opportunità di guadagno si verificheranno solo se il mercato del prodotto sarà "libero", poiché nel caso, molto più realistico, in cui la produzione fosse attuata "su contratto" (per conto del costitutore della pianta transgenica, che fornirà all'agricoltore il seme e curerà poi la commercializzazione del prodotto finale ottenuto) i maggiori guadagni sarebbero quasi esclusivamente a favore dell'impresa integrante e, quindi, del costitutore.
Strettamente connesso al precedente è poi il problema della brevettabilità degli organismi transgenici. Trattasi di un argomento di estrema importanza, poichè non si può permettere che l'approvvigionamento alimentare sia condizionato dal comportamento di imprese che posseggono un diritto esclusivo sull’utilizzazione della biodiversità esistente. In pratica, che cosa potrebbe accadere nella realtà? Il costitutore di quella determinata cultivar di pomodoro o di melanzana potrebbe registrare con il medesimo nome (che assume a tutti gli effetti la funzione di marchio) sia la nuova pianta, sia il marchio commerciale con il quale il “frutto” della pianta potrà o dovrà essere commercializzato. Pertanto l’organismo che ha brevettato quella nuova cultivar, oltre alla royalty sulla semente, potrebbe imporre anche il pagamento di una royalty per ogni chilogrammo di prodotto venduto. Per attuare questa strategia è sufficiente che l’organismo che detiene il brevetto di quella cultivar crei a livello mondiale una rete di esclusivisti, siano essi moltiplicatori della semente e/o commercianti per la vendita del prodotto, in grado di controllare l’intera filiera produttiva, che parte dalla moltiplicazione del materiale genetico e arriva alla vendita a dettaglianti del prodotto ottenuto. Trattasi di un processo di “integrazione circolare contrattuale” nel quale interviene una singola ditta industriale o commerciale, che produce autonomamente o acquista da un costitutore i diritti di moltiplicazione della nuova pianta, registra il marchio commerciale del prodotto ottenibile dalla coltivazione di quella nuova pianta e gestisce l’intera filiera. Tale opportunità è resa possibile oggigiorno dal forte processo di concentrazione della domanda di prodotti alimentari. Le catene della Grande Distribuzione sono in grado di acquistare grandi masse di prodotto, che deve essere di qualità costante, con un prezzo sostanzialmente stabile, consegnato nei tempi stabiliti. In un contesto di questo tipo le grandi imprese commerciali sono in grado di attuare forti concentrazioni dell’offerta, che nell’esempio riportato sono facilitate dalla presenza di un prodotto legalmente tutelato, per il quale è possibile controllare abbastanza semplicemente sia l’immissione sul mercato del materiale di propagazione (e, quindi, l’apparato produttivo), sia la produzione avviata al consumo, nonché le prevedibili ed inevitabili frodi commerciali. Trattasi, come si può osservare, di una filiera produttiva decisamente efficiente, nella quale, però, l’agricoltore rappresenta sempre l’anello più debole della catena, in quanto è molto spesso costretto ad accettare particolari condizioni contrattuali, che ne possono limitare l’autonomia imprenditoriale. Infatti, il detentore del marchio commerciale, che attua una specifica attività di marketing sulla marca, potrebbe indicare alle ditte che effettuano la vendita del prodotto le caratteristiche qualitative che lo stesso deve avere, la confezione da adottare, nonché le modalità di confezionamento e di vendita. E’ ovvio che in una situazione di questo tipo l’agricoltore non può certo pretendere di ottenere una remunerazione “completa” dell’attività imprenditoriale, in quanto molte operazioni che caratterizzano la filiera sono svolte da colui che detiene il brevetto, che si “approprierà” dei relativi compensi.
L’esempio precedente potrà trasformarsi in realtà? Sarà attuato solo per le coltivazioni orticole e/o frutticole o potrà riguardare ogni nuova cultivar vegetale potenzialmente oggetto di brevetto. Vi potranno essere vantaggi per il produttore o questa strada rappresenta uno sviluppo pericoloso per l’agricoltura del nostro Paese? Sono queste le domande a cui occorre dare una precisa risposta prima di intraprendere una strada che potrebbe avere grandi risvolti negativi. 
In questo contesto si inseriscono le perplessità da qualcuno ipotizzate in merito al rapporto tra “agricoltura e i signori dei geni”, ovvero tra coloro che producono materialmente, in campo, il prodotto oggetto di scambio sul mercato ed i “proprietari” del patrimonio genetico in grado di originare quel prodotto. Come potrà essere sfruttato questo brevetto? Esistono dei limiti allo sfruttamento economico della pianta, oppure tutto è concesso a colui che detiene il brevetto? Indubbiamente queste domande esigono risposte precise sulle eventuali conseguenze che lo sfruttamento del brevetto potrebbe avere sul settore agricolo italiano. Al limite si potrebbe ipotizzare una situazione in cui l’agricoltore non dovrà nemmeno acquistare le sementi, ma le riceverà per la coltivazione dalla stessa impresa che ne detiene il brevetto e che diventerà anche proprietaria del prodotto finale ottenuto (simili aicontratti di soccida per l’allevamento animale). Il processo produttivo sarà portato avanti dall’agricoltore sulla base di un “disciplinare di produzione”, nel quale saranno elencati la data di semina i prodotti antiparassitari da utilizzare, le operazioni colturali da effettuare, le concimazioni  e quant’altro necessario per portare a maturazione il prodotto (al limite l’impresa integrante, al fine di sfruttare il suo potere contrattuale anche nei confronti delle ditte produttrici di concimi e/o antiparassitari, potrebbe fornire all’agricoltore anche i mezzi tecnici necessari per completare il ciclo produttivo). Per le sue prestazioni l’agricoltore riceverà un compenso forfettario che tiene conto dell’impegno richiesto in termini di manodopera e di macchinari specifici. In una situazione di questo tipo l’agricoltore è sgravato da gran parte dei rischi di impresa, ma nello stesso tempo diviene esclusivamente un prestatore di manodopera e di capitale, a favore dell’impresa integrante che rimane proprietaria del prodotto ottenuto. Ovviamente, per una produzione effettuata su commissione, il compenso per l’agricoltore, in una economia di mercato, sarà soggetto alla legge della domanda e dell’offerta, per cui cosa accadrà quando l’impresa che detiene il brevetto su quella pianta troverà un altro agricoltore in grado di fornirgli le stesse prestazioni ad un prezzo inferiore? O quando troverà un altro Paese, con condizioni di costo dei fattori produttivi più favorevoli? E’ ovvio che, a parità di altre condizioni, con ogni probabilità, sposterà le sue produzioni laddove costerà meno ottenerle.
Ma il grande salto di qualità per le ditte che detengono il brevetto, potrà essere ottenuto allorquando la manipolazione genetica sulle piante consentirà di sfruttare l’”apomissia”, ovvero la possibilità di originare piante identiche alla madre anche nel caso di riproduzione sessuata. In particolare, lo sfruttamento dell’”apomissia” consentirà alle ditte sementiere  di  evitare la produzione in campo e la successiva commercializzazione del seme, mantenendo comunque la possibilità di ricavare le royalty dal seme e dalla produzione di cibo; il seme una volta distribuito sarà prodotto autonomamente tutti gli anni dall’azienda agricola, la quale, mediante un apposito contratto di sfruttamento della semente, sarà tenuta a pagare le royalty al detentore del brevetto, ogni qual volta utilizzerà le sementi apomittiche per una nuova semina. L’”apomissia” semplificherà notevolmente la vita al detentore del brevetto, che dovrà attuare un’unica operazione: distribuire una sola volta la semente e incassare le royalty ogni volta che il seme viene seminato ed il cibo viene prodotto. Qualcuno afferma che questo scenario è irrealizzabile, in quanto alle ditte sementiere non converrebbe mettere sul mercato una semente apomittica, poiché lieviterebbero le frodi e occorrerebbe mettere in atto un sistema di vigilanza decisamente costoso. Purtroppo queste affermazioni si scontrano con la realtà, in quanto le grandi multinazionali del seme stanno cercando di evitare questo inconveniente mediante la creazione di una “Apomissia inducibile chimicamente”. In pratica, che cosa accade? Accade che la semente apomittica germina ed origina una pianta identica alla madre solo in presenza di una sostanza chimica che sarà venduta a parte. Da rilevare che tutto questo non è fantascienza, in quanto il brevetto sull’”Apomissia inducibile chimicamente” è già stato richiesto (http://www.ptodirect.com/Results/Publications?query=IN/(Russinova-Eygeniya).

L’aspetto relativo alla brevettabilità degli OGM pone poi altri importanti interrogativi per il nostro Paese, in quanto l’operazione di “ingegneria genetica”, oltre al transgene, necessita anche di una serie di altre sequenze di DNA (promotori, terminatori, ecc.) e di un certo numero di processi tecnologici che sono già brevettati. Questo significa che anche l’inventore più geniale dovrà “comprarsi” tutti i materiali e tutte le tecniche necessarie per far “vivere” la sua invenzione e quindi, se non ha le capacità necessarie, dovrà vendere il suo brevetto ai più forti sul mercato. E’ abbastanza ovvio, quindi, che anche un Paese sviluppato come il nostro, carente in brevetti pregressi e con scarse capacità di investimento nel settore, rischia di restare tagliato fuori per sempre se non viene mitigata la rigidità della protezione brevettuale attuale, ad esempio riducendo il periodo di validità o escludendo una parte di prodotti di utilizzazione generalizzata. I risvolti sociali di tutto questo rischiano di essere pesanti, soprattutto se, come è possibile, le biotecnologie diventeranno veramente quello che promettevano di essere e cioè un mezzo potente per la lotta contro la fame e le malattie della nostra era..


 2.2. – Effetti sul collocamento della merce prodotta

         I sostenitori degli OGM danno per scontato che non vi saranno problemi di collocamento e che i consumatori considereranno le produzioni transgeniche sostanzialmente equivalenti a quelle convenzionali. Purtroppo, anche in questo caso, la realtà è diversa. Lo sanno gli agricoltori americani, che si sono visti respingere le esportazioni di prodotti transgenici da alcuni Paesi che, prima di utilizzarli, vogliono indagare a fondo sulle conseguenze per i consumatori e per l'ambiente.
Nel nostro Paese i sostenitori degli OT affermano che senza di essi  l'agricoltura italiana non sarà competitiva sul mercato mondiale, in quanto i costi di produzione delle coltivazioni convenzionali sono superiori a quelli che si sosterrebbero per produrre piante transgeniche. Tale esigenza nasce dal fatto che in futuro la nostra agricoltura dovrà confrontarsi con quella Americana, Canadese,  Argentina, ecc. In questi Paesi essa è attuata in aziende aventi una superficie media di centinaia di ettari, in cui si è alla continua ricerca dell'automazione dei processi produttivi e nei quali l'unica funzione di questo settore economico è quella di ottenere materie prime in grandi quantità. Sostanzialmente diversa è la situazione presente nel nostro Paese, dove da sempre l'agricoltura è orientata verso l'ottenimento di produzioni di elevata qualità e dove essa svolge anche altre importanti funzioni che non sono esclusivamente legate all'attività produttiva (multifunzionalità dell’agricoltura). Un'agricoltura caratterizzata dalla presenza di aziende di modeste dimensioni, che non si possono certo permettere l'acquisto di macchinari specifici per una determinata coltura, che non sarebbero mai in grado di ammortizzare, da un costo dei fattori produttivi molto elevato (terra e manodopera soprattutto, ma anche energetici), da limitazioni di carattere ambientale in merito all'utilizzazione di determinati fattori della produzione (concimi, antiparassitari, ecc.). Come potrà competere la nostra agricoltura, anche se saranno introdotte le attuali piante transgeniche, con quella americana o argentina, dove aziende agricole di migliaia di ettari sono alla continua ricerca dell'automazione del processo produttivo? Un processo produttivo che sarà controllato dai satelliti e dove l'intervento dell'uomo sarà quasi nullo?
Sempre a proposito di competitività dell'agricoltura nazionale, occorre rilevare che la possibilità di ottenere "nuovi individui" appositamente progettati e realizzati per poter resistere a condizioni pedoclimatiche avverse, pone poi il problema dell'eventuale spostamento della produzione da quelle che attualmente sono le tradizionali aree di coltivazione. Tale nuova localizzazione potrebbe avvenire sia allo scopo, più che legittimo, di aumentare il grado di autoapprovvigionamento di una determinata regione, sia, meno legittimamente, per incentivare la produzione in aree dove è possibile reperire a più basso costo i fattori produttivi necessari ad ottenerla, per poi vendere sui tradizionali mercati i beni ottenuti. In quest'ultimo caso, si determinerebbero problemi legati alla disoccupazione e all'esodo rurale che si verificherebbe nei territori in cui quella particolare coltivazione è abbandonata.
Queste ultime affermazioni pongono problematiche certamente rilevanti per il nostro Paese:
 - cosa ne sarà degli agricoltori che attualmente ricavano un reddito da queste coltivazioni, una volta che sarà possibile ottenerle, sicuramente a minori costi, anche in altre aree del pianeta?;
 - cosa ne sarà del paesaggio rurale, allorché‚ la diminuita possibilità di coltivazione di questi prodotti determinerà il loro abbandono da determinati territori?;
 - quali interventi occorrerà mettere in atto per contrastare l'abbandono di queste coltivazioni, in relazione alla funzione di contenimento del dissesto idrogeologico che molto spesso esse svolgono?
         Come si può osservare la problematica è decisamente vasta e dovrebbe essere affrontata nella sua globalità e non settorialmente com'è stato fatto sino ad ora.


3. – Effetti sui rischi tecnici produttivi

         Trattasi di un elemento estremamente importante per l'agricoltore, poiché a volte il suo reddito è compromesso da un cattivo andamento stagionale. Non v'è alcun dubbio sul fatto che le attuali coltivazioni transgeniche, così come sono state progettate ed attuate, consentiranno di offrire maggior tranquillità all'agricoltore. Piante resistenti ad ogni forma di stress ambientale, piante autoresistenti agli attacchi di insetti, piante che possono essere diserbate in ogni fase del ciclo vegetativo, ecc. A questo punto però ci si può chiedere quale sarà il ruolo dell'imprenditore agricolo in una situazione produttiva di questo tipo, nella quale, spingendo il ragionamento al limite, le uniche operazioni colturali che dovrà effettuare (più realisticamente controllare) saranno quelle di seminare e di raccogliere il prodotto.
Con l'introduzione degli attuali OT l'agricoltore potrebbe perdere parte delle funzioni imprenditoriali, poiché in questo contesto verrà ad assumere sempre più importanza il settore industriale, quale fornitore del materiale di propagazione e dei mezzi tecnici necessari per portare a termine il processo produttivo, nonché quale utilizzatore del prodotto agricolo ottenuto.
L'introduzione di OGM potrebbe comportare anche una diminuzione dell'importanza dell'agricoltura in relazione alle strategie di "sostituzionismo" messe in atto dal settore industriale legato alla trasformazione dei prodotti agricoli. Tale opportunità è resa possibile dallo sviluppo di organismi fortemente specializzati nella produzione di materie prime di base (vitamine, carboidrati, grassi, ecc.). Queste sostanze potranno poi essere utilizzate dall'industria per produrre beni alimentari e non (Patata Amflora per esempio). Ciò implica la fine dell'organizzazione lineare della produzione alimentare, da uno specifico prodotto agricolo ad uno specifico alimento, e la riorganizzazione dell'intera catena alimentare, nonché dei rapporti tra agricoltori e industriali. In particolare, sempre più importanza avranno le coltivazioni su contratto, per le quali il prezzo di vendita all'industria non sarà più stabilito sulla base del quantitativo di mais, di soia o di patata ottenuto, ma sulla base del quantitativo di vitamine, di proteine o quant'altro in esse contenuto.
Dopo queste brevi argomentazioni sull’adozione degli OT in agricoltura sorge spontanea una domanda: come mai nei Paesi in cui la coltivazione di queste piante è consentita si è avuta un’esplosione delle superfici investite, segno dell’apprezzamento di queste piante da parte degli agricoltori? L’aumento delle superfici investite trova una giustificazione che non è legata alla loro redditività, ma alla situazione di mercato in cui gli agricoltori di questi Paesi si trovano ad operare. Infatti, in questi Paesi esiste un’unica filiera produttiva di quel determinato prodotto, sia esso mais convenzionale o transgenico. Pertanto, nel lungo periodo, il prezzo di mercato del mais è condizionato dai minori costi di produzione del “mais transgenico” (determinano un abbassamento del prezzo del mais) rispetto ai costi di produzione del “mais convenzionale”. E’ ovvio che in questa situazione, in cui al “mais convenzionale” è riconosciuto lo stesso prezzo (inferiore) del “mais transgenico”,   anche il produttore che in un primo momento non era intenzionato a coltivare “mais transgenico” sarà “obbligato” a farlo dal mercato se vorrà mantenere un certo grado di redditività dalla sua attività imprenditoriale.
A conclusione di queste brevi considerazioni sui potenziali e probabili effetti dell’introduzione di OT nell’agricoltura nazionale, non occorre sottovalutare il potenziale “danno di immagine” che potrebbe subire il nostro Paese, da sempre caratterizzato da produzioni di eccellenza, che da sempre costituiscono un vanto per il nostro settore agro-alimentare.

domenica 23 febbraio 2014

I rischi legati alla diffusione degli OGM in agricoltura

Di seguito una sintetica ma completa analisi dei rischi legati alla diffusione degli OGM in agricoltura. L’analisi è stata svolta dal prof. Raffaele Testolin, già Direttore del Dipartimento Produzione Vegetale e Tecnologie Agrarie Università di Udine,  che non è sicuramente un “anti OGM”, in quanto firmatario della “lettera degli scienziati con la richiesta per liberalizzare la sperimentazione OGM”.  Si tratta sicuramente di una analisi obiettiva, che mette in luce ancora una volta la necessità di fare ricerca prima di introdurre piante OGM nel nostro Paese. Molte delle previsioni fatte da Testolin si sono puntualmente verificate negli anni successivi, con particolare riferimento alla diffusione incontrollata del transgene ed agli effetti negativi su "insetti non target", ovvero insetti non nocivi per l'agricoltura che nutrendosi di polline di piante Bt hanno subito danni.


ISTITUTO REGIONALE DI STUDI EUROPEI
DEL FRIULI VENEZIA GIULIA
Via Concordia 7 - 33170 Pordenone
Tel. 0434.365326 Fax. 0434.364584
email: irse@culturacdspn.it

PROFESSIONI NEL VERDE
Presidio del territorio e nicchie di mercato
XX Seminario internazionale sulle nuove professionalità 
PORDENONE 12 - 16 luglio 2000Nell'ambito delle attività internazionali
Sostenute dalla Regione Friuli Venezia Giulia
Con la partecipazione diFondazione Cassa di Risparmio
di Udine e Pordenone

BIOTECNOLOGIE A OCCHI 

APERTI  


Raffaele Testolin, 
Dipartimento Produzione Vegetale e Tecnologie Agrarie Università di Udine  (Coordinatore del seminario)  

Cap. 1. Perché si creano organismi geneticamente modificati (OGM) (omissis)
Cap. 2. Come si creano gli OGM, con particolare riferimento alle piante (omissis)
Cap. 3. La diffusione degli OGM (omissis)


Cap. 4. I rischi legati alla diffusione degli 

OGM

La rapida diffusione di organismi geneticamente modificati (virus, batteri, lieviti, artropodi, animali e piante superiori) ha creato un notevole allarme anche nella comunità scientifica circa i rischi che il rilascio in natura di OGM può creare per la salute dell'uomo e degli animali che si alimentano con questi OGM o prodotti da essi derivati (farine ecc.) e i rischi per l'ambiente (Tab. 2).
Ovviamente gli OGM hanno posto e pongono anche problemi etici che riguardano da una parte i limiti consentiti ad una generazione di alterare il mondo in cui vive senza curarsi delle conseguenze per le generazioni future e dall'altra se sia permesso creare dei rischi per la società a solo scopo di profitto di singole imprese. E' questa per esempio l'accusa che viene mossa alle compagnie che hanno sviluppato piante transgeniche resistenti ad erbicidi e che costringono gli agricoltori ad acquistare oltre che le sementi, l'erbicida adatto. Si tratta di questioni importanti, ma che riguardano campi non trattabili dal punto di vista scientifico.
Al di là degli aspetti etici, la lista dei potenziali rischi che possono o devono avere una risposta scientifica, è lunga e riguarda, ad esempio:
- l'impatto tout court sull'ambiente di OGM (virus, batteri, pesci, animali, ...) che entrano come un soggetto del tutto nuovo in un ecosistema che non ha contribuito a crearli e a selezionarli;
- la possibile tossicità e allergenicità dei prodotti alimentari derivanti dagli OGM;
- il gene flow o flusso di geni da organismi transgenici ad organismi non-transgenici, in particolare da piante transgeniche a colture non transgeniche e specie selvatiche con le quali le piante transgeniche possono ibridare naturalmente (Dale e Scheffler 1996);
- il trasferimento a batteri del terreno di plasmidi artificiali presenti in organismi transgenici in decomposizione (Nielsen et al 1997);
- il cosiddetto horizontal gene transfer, cioè il trasferimento occasionale di geni tra organismi molto diversi: per esempio tra batteri ed eucarioti mediante fenomeni di coniugazione (Tepfer 1993; Droge et al 1998).


Cap. 4.1. - Rischi per l'uomo e per gli animali che si alimentano con prodotti di OGM

I costrutti utilizzati per il trasferimento di geni a piante, contengono - come abbiamo visto - una copia di un gene che permette la selezione dei trasformati. Molti costrutti contengono come gene marker per la selezione dei trasformati un gene che conferisce resistenza alla kanamicina. Questo gene di origine batterica, noto anche come nptII (neomicina fosfotransferasi II), è ovviamente presente in tutte le cellule di una pianta transgenica.
La paura che il gene nptII possa essere tossico per l'uomo e gli animali sembra infondata, ma esistono un paio di altre questioni che non hanno ancora ricevuto risposta. La prima riguarda la possibilità che il gene nptII possa essere passato ai batteri dell'intestino umano, rendendoli resistenti alla kanamicina e ad altri antibiotici. La seconda riguarda la possibilità che il gene venga trasferito ad altri organismi e quindi rilasciato nell'ambiente con rischi per l'ecosistema.
Nessuna delle questioni ha per ora ricevuto risposta. Sappiamo che i processi digestivi dovrebbero distruggere qualsiasi sequenza codificante prima che questa raggiunga la flora batterica dell'intestino (guai se non fosse così!). Sappiamo anche che un gene che evitasse la distruzione nello stomaco avrebbe comunque poche possibilità di essere trasferito ad un batterio nell'intestino umano. Tuttavia il rischio non è nullo. Le preoccupazioni riguardano soprattutto la possibilità che batteri GM utilizzati come colturestarter in formaggi o yoghurt possano trasferire questi geni a specie di batteri relativamente prossime (es. batteri lattici) presenti nell'intestino. Per questo pericolo, le legislazioni dei vari paesi - per quanto è noto - stabiliscono che organismi GM prodotti per alimenti da consumare a crudo non debbano contenere geni di resistenza agli antibiotici.
Per quanto riguarda il pericolo di trasferimento all'ambiente, sappiamo che il gene di resistenza alla kanamicina è piuttosto diffuso in natura e tuttavia un evento imprevisto che possa in qualche maniera causare un danno all'ambiente non può essere escluso a priori.
La presenza di questi rischi è tanto vera che i ricercatori, su sollecitazione delle imprese, si sono preoccupati di mettere a punto una nuova cassetta di espressione contenente un secondo gene (il geneCre), in grado, una volta avvenuta la trasformazione, di excidere il gene nptII dalla pianta (Brown 1995).
Poiché il gene Cre viene caricato su un vettore diverso da quello preparato con il gene di interesse assieme al gene nptII, i due costrutti verrebbero trasferiti in zone diverse del genoma e segregherebbero alla prima generazione, permettendo così di selezionare piante contenenti il gene di interesse ma non il gene Cre. Il gene nptIInon dovrebbe essere presente perché già eliminato da Cre.
Un secondo approccio è stato quello di usare genimarker/eporter diversi dai geni di resistenza ad antibiotici. Tra i nuovi geni un largo spazio hanno trovato alcuni geni di resistenza ad erbicidi, ma sono stati sperimentati anche geni che conferiscono tolleranza a metalli, metodi di complementazione vari, geni che demoliscono zuccheri artificiali come per esempio il lattosaccarosio ecc. (Yoder e Goldsbrough 1994; Gressel 1999). Per questi restano i rischi di diffusione nell'ambiente che vedremo nel prossimo paragrafo.
Per quanto riguarda la tossicità dei prodotti di origine transgenica, la legislazione, data la difficoltà di sviluppare test tossicologici appropriati, ha introdotto il concetto di valutazione della "sostanziale equivalenza" tra il prodotto transgenico e quello non transgenico di analoga origine. Dal punto di vista puramente scientifico, la tossicità di costrutti transgenici è considerata in generale poco verosimile, anche se non può essere esclusa in linea di principio.
Per quanto riguarda le allergie, la base biologica di tali reazioni è poco conosciuta dal punto di vista scientifico e quindi anche la legislazione non può chiedere molto. In pratica, nello screening track, imposto alle ditte che intendono chiedere il permesso di sperimentare e/o commercializzare OGM, vengono considerate le caratteristiche della proteina codificata dal transgene che potrebbero essere fonte di allergia (stabilità al calore, resistenza all'attacco di enzimi digestivi, similarità con allergeni noti ecc.). Il problema è sorto da alcuni casi concreti. Per esempio, la Pioneer Hi-Bred International ha sviluppato in passato una soia GM per un gene che codificava per una proteina ricca in metionina, intendendo così innalzare il profilo nutrizionale della soia utilizzata per l'alimentazione animale. Il gene era stato isolato dalla noce brasiliana, che in alcuni individui può causare reazioni allergiche. La compagnia ha saggiato questa soia GM contro campioni di sangue di persone allergiche alla noce brasiliana ed ha trovato che la soia GM era a sua volta allergenica. A seguito di ciò, il progetto è stato abbandonato, ma la questione è diventata di pubblico dominio ed ha assunto un valore generale perché se è vero che le compagnie conducono prove allergeniche quando il problema esiste - vedi il caso della noce brasiliana - è altrettanto vero che per molti geni che provengono da fonti non alimentari (batteri, insetti ecc.) non è nota l'allergenicità e non esiste il panel di pazienti con allergia conclamata per quel particolare alimento.


Cap. 4.2. - Rischi relativi agli insetti utili

Il problema ha due facce: la prima riguarda la creazione di resistenze in insetti contro i quali è stata prodotta la pianta transgenica; la seconda riguarda il danno che piante con geni che codificano per biopesticidi (tossine ecc.) possono recare alla entomofauna 'non-target', cioè agli insetti non direttamente obiettivo del biopesticida come i predatori e i visitatori occasionali.
Per entrambi gli aspetti, molte ricerche hanno riguardato e riguardano tuttora l’uso di geni che codificano per tossine Bt, derivanti da Bacillus thuringiensis.
Nel primo caso sono ormai documentate resistenze selezionate in alcuni lepidotteri dall’uso di pianteBt. In particolare sono state trovate resistenze nella tignola delle crucifere (Plutella xylostella) allevata su broccoli Bt e colza Bt (Ramachandaran et al 1998 e Tang et al 1999 citati in Tabashnik et al 2000), nel verme rosa delle capsule di cotone (Pectinophora gossypiella), mentre per quanto riguarda le resistenze rilevate in popolazioni di piralide allevata su mais Bt i dati sono contrastanti. Prevalgono i lavori che riportano il superamento di resistenze e in tali lavori il dibattito è relativo al tipo di resistenza: dominante o recessiva. Come è noto i due tipi di resistenza hanno effetti molto diversi sulla possibilità di diffusione del gene stesso (Huang et al 1999; Tabashnik et al 2000).
Per quanto riguarda il secondo aspetto, al di là delle ormai note vicende della farfalla monarca (Danaus plexippus) e del dibattito creatosi attorno a questa vicenda, i risultati riportati in bibliografia sono piuttosto contrastanti. Ciò è dovuto soprattutto all'eterogeneità dei protocolli e a qualche 'ingenuità' come l'uso di individui adulti come soggetti sperimentali, quando è noto che la tossina del B. thuringiensis è molto più efficace sugli stadi larvali. Molti dei dati che si trovano in bibliografia poi riguardano tests preparati per la registrazione di formulazioni a base di B. thuringiensis da utilizzare nei trattamenti alle colture e sono poco pertinenti al caso (Croft 1990). Solo recentemente si è operato alimentando predatori con prede cresciute su prodotto transgenico contenente la proteina Bt. I primi risultati non hanno riportato effetti negativi, ad eccezione di un caso in cui si sono registrate mortalità elevate in larve di crisopa (Chrysoperla carnea) alimentate con prede allevate a loro volta su mais Bt (Hilbeck et al 1998). Al di là dei risultati, è importante notare come le prime segnalazioni di resistenze siano comparse in letteratura già nel 1998, cioè ad appena due anni dall'inizio della coltivazione di mais, cotone e patata Bt negli USA. L'allarme è stato preso in seria considerazione da diverse società scientifiche e le perplessità che queste società avanzano con i loro documenti possono essere così riassunte (Wallimann 2000; Saxena et al 1999):
1.     la coltivazione su grandi aree a monocoltura di specie come mais o cotone, che esprimono costitutivamente composti ad azione insetticida come la tossina Bt, crea un ecosistema omogeneo con una grande pressione selettiva e quindi facilmente orientato a creare resistenze;
2.     creando resistenze si rischia di perdere un bio-pesticida, come il Bt, di grande valore, in uso con successo ormai da 30 anni;
3.     la tossina Bt, oltre ad agire sui parassiti, sui loro predatori e su visitatori occasionali, viene essudata nel terreno e rimane attiva per oltre 200 giorni, avendo effetti non prevedibili su una miriade di insetti del suolo.


Cap. 4.3. - Rischi per l'ambiente

Abbiamo visto che i rischi sono parecchi e tipici a volte di un singolo OGM. Vediamo alcuni casi che rappresentano i temi di discussione più dibattuti nel mondo scientifico (tab. 2).
Nel 1996 James Kling, un divulgatore scientifico, avviava una riflessione sulla rivista Science sul pericolo che colture transgeniche potessero trasferire geni di resistenza ad erbicidi, a virus, ad antibiotici ecc. a piante spontanee rendendole delle 'super-infestanti' (superweeds è il termine coniato da Kling e diventato poi famoso nella letteratura giornalistica). Kling rappresentava con una notevole obiettività le posizioni del momento. Ecologisti e specialisti di genetica di popolazione ammonivano che il trasferimento di geni eterologhi presenti in colture transgeniche a specie selvatiche sarebbe stata solamente una questione di tempo, dato il ritmo con cui i permessi di coltivazione venivano rilasciati negli USA. Quelli che rilasciavano i permessi, rassicuravano che il problema del trasferimento genico all'ambiente (gene flow) era tenuto in attenta considerazione e che i permessi di coltivazione venivano accordati solamente quando il rischio era nullo. Nel giro di qualche anno s'è accumulata una copiosa quanto inutile letteratura scientifica sulla valutazione del rischio (Gressel e Rotteveel 2000) e sulle distanze di sicurezza per evitare inquinamenti a colture attigue o a specie spontanee (Scheffler e Dale 1994; McPartlan e Dale 1994; Scheffler et al 1995; Conner e Dale 1996). Le pubblicazioni scientifiche sull'argomento ammontano ormai ad oltre un centinaio. E' chiaro, tuttavia, che quando una coltura transgenica assume le dimensioni che hanno assunto il mais, la soia o il colza (Figg. 2 e 3), la speranza di non contaminare l'ambiente e le specie botaniche selvatiche non ha fondamento scientifico. Molto dipende dalle aree in cui si coltiva. Il mais coltivato in Europa probabilmente non darà luogo a flussi genetici nell'ambiente al di fuori delle aree agricole, perché non ci sono specie spontanee che possano ibridare con il mais coltivato; lo stesso non si può dire per il riso transgenico coltivato in Asia o il colza coltivato in Europa o la soia coltivata in Cina. Per inciso, è utile sottolineare che casi di negligenza nella sperimentazione con colture transgeniche (distanze di sicurezza, scelta della coltura successiva, notifiche alle autorità competenti ecc.) sono stati segnalati anche per test preliminari, cioè quelli condotti dalle compagnie costitutrici degli OGM, che avrebbero dovuto operare con la massima cura (Anonymous 1998).
A completamento dell'argomento possiamo dire che colture transgeniche a larga diffusione creano problemi anche agli agricoltori. Per esempio, chi produce mais non transgenico vicino ad un produttore di mais transgenico avrà il proprio prodotto inquinato, che dovrà vendere come prodotto transgenico. Il fatto è ancora più grave per gli agricoltori che fanno produzioni biologiche, ma questi sono ovviamente problemi di natura sociale piuttosto che scientifica.
La riduzione del rischio di trasferimento di geni eterologhi da colture transgeniche a specie selvatiche viene perseguito dalle compagnie attraverso due vie:
- inserimento dei costrutti transgenici nel DNA cloroplastico piuttosto che in quello nucleare, sfruttando il fenomeno dell’eredità materna dei cloroplasti, che è piuttosto comune nelle angiosperme. Questo impedisce la dispersione del costrutto attraverso il polline, che non porta generalmente plastidi;
- riduzione della competitività naturale nei semi della generazione successiva, utilizzando le tecniche del tandem construct, cioè l’inserimento di un secondo gene che si manifesta nella generazione successiva, dando ad esempio maschiosterilità, scarsa vigoria alle piante, nanismo ecc. (Gressel 1999)
Un altro caso dibattuto è l’uso di geni che codificano per proteine del capside di alcuni virus.
La resistenza ad un determinato virus si può ottenere inserendo nella specie ospite il gene che codifica per le proteine del capside di quel virus. La pianta codificando le proteine del capside diventa resistente al virus. E' il caso delle resistenza allasharka (o PPV = Plum Pox Virus) ottenuta in susino con questa tecnica. Gli stessi ricercatori che hanno ottenuto il risultato di rendere il susino resistente alla sharka hanno anche dimostrato, lavorando con una specie modello di tabacco in grado di esprimere il capside del PPV, che questa proteina prodotta dal tabacco è in grado di incapsidare un altro virus, il virus del mosaico giallo degli zucchini. Questopotyvirus non trasmissibile attraverso gli afidi, una volta incapsidato con il capside prodotto dal tabacco, viene trasmesso dagli afidi come il PPV. Questo significa che è possibile produrre attraverso il rilascio di piante transgeniche nuovi tipi di virus, con caratteristiche epidemiologiche diverse (Lecoq et al 1998). Il rischio per l'ambiente è evidente e i ricercatori francesi stanno lavorando alla sequenza del capside per togliere ad essa le proprietà negative viste sopra, conservandone le caratteristiche che rendono la pianta transgenica immune al virus.


Cap. 4.4. - Rischi di instabilità genetica degli OGM

Un aspetto importante che meriterebbe di essere approfondito riguarda la stabilità genetica degli OGM (Tab. 3).
Il trasferimento genico usa delle tecniche sostanzialmente imprecise (Kononov et al 1997), indipendentemente dall’approccio adottato:
1.     si trasmettono un numero imprecisato di copie del costrutto (da una ad una decina, ma a volte fino ad un centinaio) al genoma dell’ospite;
2.     non tutte le copie sono complete; a volte sono presenti solamente pezzi di costrutto;
3.     non si sa bene dove vadano a finire nel genoma: a volte vanno a finire in regioni molto metilate che impediscono l’espressione; è possibile che vadano a finire all’interno di un gene, silenziandolo senza per questo che ci siano effetti fenotipici rilevabili al momento; è anche possibile che il transgene si ponga a monte di geni non trascritti, riattivandoli.
Tutto questo pone dal punto di vista teorico dei rischi sulla stabilità dei transgeni, sull’effetto della posizione che occupano nel genoma ecc. Più di 30 compagnie hanno avuto esperienze di silenziamento di transgeni in piante transgeniche già avviate alla commercializzazione (Senior IJ e Dale 1996). Purtroppo su questi aspetti, la letteratura scientifica è piuttosto carente.
Abbiamo limitato la trattazione ad alcuni aspetti di carattere generale, ma la casistica è ampia e - come abbiamo detto all'inizio del paragrafo - il problema può riguardare un singolo transgene. Il lettore può mantenersi aggiornato, facendo riferimento ad alcuni siti internet selezionati per la loro autorevolezza e riportati in tab. 4.


Cap. 5. - L'identificazione degli OGM (omissis)

Cap. 6. - Conclusioni

L'uso di OGM tocca ormai una serie molto ampia di campi di applicazione, che vanno dalla creazione di nuove varietà per scopi alimentari e industriali, all'uso delle piante per la produzione di molecole a scopo farmaceutico, alla trasformazione a scopi di studio per ricerche in campo biologico.
Purtroppo l'uso fatto da alcune grosse compagnie sementiere di queste applicazioni in campo agroalimentare con la produzione di varietà transgeniche di colture ad ampia diffusione come mais, soia, colza, cotone, patata e pomodoro, portanti costrutti di dubbia utilità per il mercato e con qualche rischio per l'ambiente, ha provocato perplessità nella comunità scientifica e una generale reazione agli OGM in ampi settori dell'opinione pubblica.
Nel 1999, l'Unione europea, recependo le sollecitazioni dei movimenti di opinione contrari agli OGM, ha iniziato a mettere restrizioni all'uso degli OGM, ma contemporaneamente ha anche ridotto i finanziamenti alla ricerca nel settore. L'uso di piante transgeniche per studi di espresssione o per la produzione di presidi farmaceutici non presenta in sè pericoli né per l'uomo né per l'ambiente, ma sta subendo in questo momento lo stesso ostracismo nell'Unione Europea riservato – con ben altre ragioni come abbiamo visto – alle colture transgeniche di pieno campo destinate all'alimentazione umana o degli animali.
Questo è il quadro della situazione.
Per parte nostra speriamo di avere dato al lettore informazioni corrette ed alcuni strumenti di valutazione per una riflessione personale sull'argomento.



Tab. 2 – I principali argomenti del dibattito sugli OGM (adattato da Dale 1999)
Obiezioni sollevate all'uso di OGMRisposte di chi è a favore degli OGM


1. Il trasferimento genico viene fatto superando barriere naturali e quindi è 'innaturale'Falsa associazione tra 'naturale' e 'buono'. I patogeni sono naturali, ma dannosi; i vaccini sono innaturali, ma utili.
2. E' difficile prevedere l'impatto a lungo termine delle colture transgeniche sugli alimenti e sull'ambienteE' vero, tuttavia esistono programmi di monitoraggio a lungo termine. Per nessuna innovazione è facile prevedere gli effetti a lungo termine, ma non per questo abbiamo rinunciato in passato ad introdurre innovazioni (petrolio, auto, energia nucleare ...).
3. I prodotti di piante transgeniche destinate all'alimentazione umana (e animale) possono avere proprietà allergeniche.E' un aspetto che viene preso in considerazione nei protocolli di valutazione degli OGM.
Il pericolo può valere anche per le varietà prodotte con gli incroci tradizionali, soprattutto se si utilizzano specie selvatiche come genitori. Inoltre, molti prodotti 'naturali' contengono allergenici, perchè gli allergeni sono componenti naturali di piante ecc.
4. Quali sono gli effetti dell'inserimento di geni codificanti per biopesticidi (geni Bt, sdl ecc.) in una coltura agraria sugli insetti utili, compresi i pronubi ?I danni su insetti utili sono trascurabili rispetto ai vantaggi legati alla riduzione dell'uso di pesticidi di sintesi e il bilancio costi/benefici è a favore degli OGM.
5. La coltivazione di piante transgeniche porta il rischio di rilascio nell'ambiente di geni, il cui effetto non è facilmente valutabile (gene flow attraverso ibridazioni naturali con specie native, trasferimento a colture non transgeniche vicine, trasporti illegali, accidentali nei centri di origine della specie cui appartiene l’OGM ...)Il rischio è alto per gli OGM di prima generazione, ma ora ci sono molte soluzioni per mitigare il rischio, in particolare i cosiddetti tandem constructs, contenenti un secondo gene per esempio di maschiosterilità.
6. L'uso di varietà transgeniche può ridurre la biodiversità (erosione genetica)L'argomento va preso in seria considerazione, ma non vale per le piante transgeniche più di quanto non valga per le varietà selezionate con i metodi di miglioramento genetico tradizionale.
7. Brevettare la vita (geni e organismi) può essere considerato non etico.Lo sviluppo di brevetti (vegetali) richiede grandi investimenti e le industrie private devono avere un ritorno finanziario dai loro investimenti.

Tab. 3 - Elenco generale dei rischi legati alla introduzione di OGM (piante e batteri).



1.

Organizzazione molecolare del genoma del transgene

1a.Valutazione del costrutto inserito.
Si tratta di valutare se e in quante copie è stato inserito il transgene nel genoma della specie ospite, se ci sono copie incomplete ecc.

1b.Valutazione di eventuali modifiche non volute al genoma dell'ospite.
Il trasferimento genico è un processo non preciso, per cui si tratta di valutare che il nuovo costrutto non abbia silenziato altri geni presenti (per esempio interrompendo una sequenza codificante), non abbia attivato geni silenti, non abbia messo in movimento transposoni ecc.

1c.Stabilità genetica.
Valutare se il transgene è stato inserito nel genoma in maniera stabile e se viene trasmesso alla progenie.
2.

Effetti sul consumatore finale

2a.Possibilità di trasferimento di materiale genetico al consumatore (uomo, animali) o ad organismi presenti nell'intestino.
Le preoccupazioni riguardano soprattutto la possibilità che geni di resistenza ad antibiotici, usati per l'identificazione dei transgeni, ed inseriti in batteri GM utilizzati come colture starter in formaggi o yoghurt possano trasferire questi geni a specie di batteri relativamente prossime (es. batteri lattici) presenti nell'intestino.

2b.Tossicità e allergie
Da valutare caso per caso sulla base dei costrutti inseriti.
Per quanto riguarda la tossicità, la legislazione, data la difficoltà di sviluppare test tossicologici appropriati, ha introdotto il concetto di valutazione della "sostanziale equivalenza" tra il prodotto transgenico e quello non transgenico di analoga origine.
Per quanto riguarda le allergie, la base biologica di tali reazioni è poco conosciuta dal punto di vista scientifico e quindi anche la legislazione non può chiedere molto. In pratica, nello screening track vengono considerate le caratteristiche della proteina codificata dal transgene, che potrebbero essere fonte di allergia (stabilità al calore, resistenza all'attacco di enzimi digestivi, similarità con allergeni noti ecc.).
3.

Pericolo di diffusione nell'ambiente e danni ad altri organismi

3a.Inquinamento di specie spontanee mediante impollinazione incrociata

3b.Trasferimento ad organismi che vivono nell'ambiente
Il problema riguarda principalmente il trasferimento di costrutti a batteri che degradano i residui vegetali di piante transgeniche.

3c.Danni a pronubi, insetti utili ecc.
Il problema riguarda ad esempio i pronubi che bottinano su specie trasformate con geni che codificano per biopesticidi (es. gene Bt).
Le compagnie devono presentare la documentazione opportuna per i potenziali ospiti della coltura. E’ tuttavia difficile prevedere per una coltura molto diffusa quali saranno i potenziali ospiti nei vari ambienti di coltivazione e soprattutto l'effetto a lungo termine di questi geni sull'entomofauna




Tab. 4 - Indirizzi Internet utili per una informazione sugli OGM.
Indirizzo internetGestore, finalità e contenuti del sito


www.msissues.orgJohn Innes centre, Norwich, Scotland UK.
Mette a disposizione informazioni di pubblico dominio e "bilanciate" (cioè non esclusivamente a favore o contro gli OGM) relative alla ricerca sugli OGM ed argomenti affini.
www.aphis.usda.gov/biotechUnited States Department of Agriculture - Anumal and Plant Health Inspection Service (USDA-APHIS), Riverdale MD, USA.
Informazioni sulla regolamentazione degli OGM negli USA: norme per sperimentazioni di campo, procedure di notificazione, permessi ed interessanti rapporti informativi a carattere scientifico.
www.isaaa.org/frbrief8htmThe International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAAA), CornellUniversityIthacaNYUSA.
Dichiara di avere lo scopo di "contribuire ad alleviare la povertà, aumentando la produttività delle colture ed il reddito derivante, in particolare per gli agricoltori con scarse risorse …".
L'aspetto più interessante del sito è la disponibilità di dati aggiornati sulla diffusione degli OGM sul mercato.
www.icgeb.trieste.it/biosafetyICGEB, International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology. Trieste, Italy.
database delle pubblicazioni sulla biosicurezza, suddivise per argomento ed altre 'entries', statistiche.